Forza Lebby. Philadelphia, USA. Capitolo 51. 25/01/2020
È appena entrato nel The Last Drop Bar un tipo con un cappello rosso.
Ha lo sguardo assente, avvolto nel vuoto cosmico.
Mi ricorda il tipo che Novecento osservava dall’oblo della sua nave, mentre suonava il piano.
Lo sguardo malinconico pieno di ricordi. Come se qualcosa fosse andato storto. Credo abbia perso una persona molto cara.
Cammina trascinando le gambe, quasi come se si annoiasse a fare quel passo in più.
Forza uaglió, respira e ricomincia.
Mentre lui va al bancone a chiedere un caffè americano brododipurpo, ecco entrare due bionde americane che una pare Pamela Anderson e l’altra Jennifer Aniston.
America.
Parlano di cose stupide, lo si capisce dalle loro espressioni del tipo, oh yeah, unbelievable, oh myyy, e si guardano le mani.
Ecco si stanno parlando di unghie.
Oggi a Philly (per fare il figo si deve chiamare così) piove a pazzi.
E si ripresenta la stessa cosa buffa che tanto mi faceva ridere da piccolo quando venivo in America qui con papà.
Gli americani non usano l’ombrello.
Se ne fottono proprio dell’acqua: loro camminano strafottenti sotto la pioggia comm s nient foss, e inzuppati entrano dalla porta del bar, chiedono il loro brododipurpo e poi rivanno fuori, tutt’apposto, sciolt, sotto il patapà.
Sulla mia destra una coppia di ragazzi che secondo me stanno facendo la prima uscita, roba di tinder sicur.
Lei 100/100 sta aspettando che lui la incatasta sulla prima superficie verticale-orizzontale.
Con la sua gestualità gli sta praticamente dicendo “fratè, ma quann si passa al dessert”?
Lui? Il nulla mischiato col niente.
Seduto con la schiena che aderisce allo schienale, in separazione, le mani penzoloni lungo i fianchi, e uno sguardo da addurmut piscion che mammamiasantauaglioarripigliati.
Meno Fortnite e più Vagyayna (pronuncia americana).
È bello stare qui e osservare quanto diverso sia il modo di muoversi delle persone qui a Philly.
Sembra di stare nel bar di Friends.
Sembra un film.
Quanto a me, bhe, sono qui in missione.
Nella mia lista di cose da fare c’era questo giorno, c’era questo sogno.
Andare a vedere una partita Nba.
E allora ho sincronizzato tutto. Ho telefonato Lebron e gli ho spiegato che stasera deve fare 17 punti contro i 76ers, così da rendermi testimone oculare del suo sorpasso ai danni di Kobe nella classifica marcatori All time.
Lui è un pó emozionato, l’ho sentito dalla voce, non si aspettava venissi direttamente qui dall’Italia.
Ha detto pure che mi regala la sua maglia da gioco, così la posso vendere e mettere sti 20k di compromesso del mutuo.
Grazie Lebby.
Come in ogni capitolo che ho scritto fin qui, la struttura a cerchio deve ritornare alla fine del racconto.
Al cappello rosso.
Alla situazione di disagio che provava quel ragazzo.
Ho pensato a quanto si da per scontato l’essere umano, a quanto ci si dimentica di guardarsi negli occhi e sentirsi davvero.
È una cosa che avrò scritto mille volte ma è bene ricordarselo.
Io combatto per non dimenticarlo, e viaggio per ricollegarmi all’Ale sbarbato che quel giorno davanti allo specchio aveva gli occhi da tigre.
Avrebbe vissuto la sua vita senza rimpianti.
Senza lasciar sfumare le occasioni.
Senza più rimandare.
Io sto solo esaudendo il suo desiderio.
Intanto il ragazzo con il cappello rosso è tornato e si è seduto, ha aperto un libro e si è messo a leggere.
Ha gli occhi gonfi pieni di lacrime che non riescono ad uscire.
Spero senta la mia energia.
Spero di poterlo aiutare, in silenzio.
Io sto bene.
Sto prendendo sempre le mie medicine, e mia madre stamattina mi ha svegliato con un messaggio con su scritto “Ale le tue analisi sono perfette!!” con duecento cuori.
E allora penso a chi non ha avuto la mia fortuna.
E allora penso a Pino che non c’è più.
Il mio compagno di stanza.
Penso a quanto adorava il fatto che io avessi vinto la malattiaconilnomebrutto e che stessi viaggiando nel mondo.
L’ultima volta che l’ho visto aveva nei suoi occhi un pó di rassegnazione ma anche tanta ammirazione per me.
Nessun’invidia. Era proprio contento per me, nella maniera più pura.
Adorava che io stessi vivendo al massimo, perché lui era come me, io lo so.
Ed è per questo che non posso fermarmi.
Perché addosso alle mie spalle porto i desideri miei, di Pino, del ragazzo con il cappello rosso e di tante persone che ho conosciuto negli ultimi 3 anni.
Li porto con me, e scopro il mondo anche per loro.
Sperando che queste 4 righe stupide arrivino forte anche lissù. Ma forse sono solo un fottuto sognatore, forse mi sopravvaluto, forse sento solo responsabilità che non ho, forse tutto quello che faccio è solo figlio della mia impulsività da uomo 33enne che sceglie di vedere Dumbo nell’aereo venendo in America.
Ma questa è la mia forza, questo è quello che sono.
Oggi si vince, sarà una grande partita.
Forza Lebby, oggi anche Pino ti guarda.
Peace a tutti
Ale