La pietra di Mufasa. Capitolo 49. 19/08/2019

La pietra di Mufasa. Capitolo 49. 19/08/2019

Sono le 21:08 del 19 Agosto.
Ho le gambe pesanti, il culo dolorante.
Tutti sono già a nanna, ed io sono seduto sulla poltrona di padre Jimmy nel salottino.
È fatta di una pelle marrone consumata, tipo quelle che ha la mia nonna nel suo tinello, quella dove non bisogna mettere le gambe sui braccioli.
La stanza ha un arredo molto umile, ma c’è tutto, addirittura il televisore, alimentato da un pannello solare.
Mi guardo attorno, respiro profondo.
Sento che sto ricevendo qualcosa di grande in questo giorni.
Oggi è stata un’altra giornata incredibile.
E se vi dicessi che siamo saliti su una pietra gigante tipo quella da dove Mufasa mostra Simba agli altri animali?
Noi, 20 bambini che si arrampicavano ovunque e davanti ai nostri occhi l’immensa savana africana.
A me pare tutto un sogno.
C’è Jimmi, un ragazzino del posto che essendo il più grande del gruppo, sembra essere anche il più esperto. Ha un corpo magrissimo e indossa sempre una maglia di calcio del PSG. È tipo la sua divisa. È furbo e intelligente, e parla inglese decisamente meglio rispetto agli altri. Conosce bene le varie zone della savana, è curioso.
Addirittura conosce i posti e gli orari dove è possibile poter vedere gli elefanti. Mi ha spiegato che solo annussando le orme di una zampa d’elefante sul terreno si riesce a capire se son passati da poco e in che direzione vanno.
Mi viene in mente quando la gente in treno a Milano non si guarda negli occhi, e io li osservo attentamente e mi sento un alieno.
E qui annusano le orme.
Quando abbiamo perso questa verità?
Quando abbiamo smesso di essere esseri viventi?
Pausa scenica, suono del vento.

Oggi è stata una giornata intensissima qui a Lodungokwe.
La mattina siamo andati con il catechistacapo (non ricordo nome) in giro per alcune manyatte completamente immerse nei boschi. Abbiamo attraversato letti di fiumi prosciugati dal sole, abbiamo trovato persone che scavavano per cercare acqua e qualche nostro ragazzino beveva acqua fangosa dalle pozzanghere.
Roba che se lo faccio io muoio dopo circa 5 secondi.
Sulla nostra strada abbiamo beccato anche dei cammelli giganti: ipnotico vederli camminare da 2 metri di distanza.
Sembra che ridono quando masticano.
Il catechista ogni settimana va in giro per le manyatte a celebrare delle piccole messe per le persone anziane che non possono arrivare più al villaggio.
Qualcuna non vede più, altre magari non riescono manco più a camminare.
Sono sedute sotto alberi e cercano di aiutare per quanto possono occupandosi dei nipotini.
Addirittura una famiglia ci ha permesso di entrare dentro una manyatta: l’apertura era piccolissima e a momenti il mio culone si incastrava.
Dentro c’era un fuoco acceso e una mamma che cullava un piccino che avrà avuto massimo un mese.
L’aria era irrespirabile per il fumo ma il piccolo almeno era al caldo.
Qui infatti per loro ora fa quasi freddo.
Girano con le felpe, e ci sono circa 25 gradi.
La loro percezione è super diversa dalla nostra.
Come i tedeschi che vengono in Italia e stanno a mezze maniche d’inverno, piu o meno è relativamente così.

Al ritorno son stato con due ragazzini un pó più defilato dal gruppo: Leman & nomesuperdifficile.
Mi hanno raccontato mille storie, sono felicissimi di averci qui.
Questi ragazzi hanno qualcosa di così diverso. Di così vero, di così naturale.
E poi, parlando con Leman:

“what do you want to do in your life?”
“Professional basketballer”

Cuore gonfio.
W la vita.

Peace

Ale



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