Weekend milanese. Capitolo 4. 19/06/2017
Sono in stazione, direzione Napoli.
Ho passato due bei giorni a Milano, uno con mia madre e un altro con amici.
Milano è una città che secondo me devi capirla, sembra che quando ci arrivi, non ti vuole bene.
Ma poi, se la guardi meglio, capisci che è solo una donna timida che vuole qualche sicurezza in più per mostrarti il suo affetto. Mi è piaciuta.
Ah, ho fatto la visita definitiva:
“è la scelta più giusta a questo punto iniziare con la chemioterapia”.
Insomma, tra poco si comincia.
Ora sono in stazione, stasera torno a Napoli.
Osservo le persone su questo treno: sono tutti molto pensierosi.
A fianco a me è seduto un bravo papà: mi ha raccontato che aveva la schiena rotta perchè ha portato la figlia ad un concerto, e la figlia con la madre tornavano in aereo, e lui in treno.
Con 3 ernie al disco.
Efiglsopiezzecor.
Di fronte a me c’è una ragazza che pareva bona, ma non lo è.
A Napoli si dice “nu quadr e luntananz” ergo, “un quadro bello solo se lo si vede da lontano”.
Io mi sento bene, carico d’energie, questo viaggetto mi ha fatto bene.
Prima, appena salito sul treno, ho
riflettuto su una cosa: il momento del saluto.
Quella vecchia sana abitudine di salutare le persone care attraverso il vetro del finestrino, nell’attesa che si parta. Tutti almeno una volta nella nostra vita l’abbiamo fatto. Sia da accompagnatore che da accompagnato.
Purtroppo a Milano Centrale non si può fare più, perché sui binari possono entrare solo chi ha il biglietto.
I saluti, tristemente, fuori la stazione.
Una cosa che mi ha fatto pensare a quanto certe abitudini passate erano così belle e vere. Aveva ragione mio nonno quando diceva che le cose di una volta erano migliori, anche se lui si riferiva a robe assurde, tipo il dentifricio o i chiodi , non chiedetemi perché.
Mentre ero immerso nei miei pensieri folli, intanto siamo partiti e siamo arrivati a Rogoredo. Qui non c’era il blocco-accompagnatorilacrimanti.
È stato wow.
È sempre un po’ emozionante sto fatto. Non lo so spiegare, è effettivamente un po’ strano.
Vedi tutte quelle persone che si fissano attraverso il vetro, sorridono con gli occhi, qualcuno fa versi buffi, qualcuno parla urlando convinto che quello poi lo sente.
“ci sentiamooo dopooo a telefonoooo, salutamiii tuttiiii, ho il cellulareeee senzaaaa soldiiii, chiamamiii tuuu”
La mia parte ingegnera vorrebbe dirle “Signo’, sta parlando attraverso un vetro spesso 10 cm, non credo la senta suo marito”.
Ma poi come sempre vince la mia parte folle-irrazionale, e mi godo la scena, anzi magari le consiglio di urlare più forte.
La scena fa ridere, ridere come fa Zelig, non Colorado per intenderci. Ancora non so perché esiste Colorado. Misteri.
Ora tutti gli accompagnatori sono lì, qualcuno saluta con le lacrime agli occhi come se il suo amico-parente stesse andando a morire, è un momento harmony.
Non so cosa accade dentro, non so cosa porta le persone a rimanere immobili per 15/20 minuti ad osservare i suoi cari in partenza sul treno.
È come se si cercasse di immagazzinare tutte le espressioni di quella persona per tutto il tempo che si può, osservandola intensamente.
La mente è come se volesse prepararti al distacco.
Un’assicurazione di ricordi e di emozioni.
Pensi a quanto la vuoi bene, o magari a quanto dovresti volerla bene. Con eventuali sensi di colpa per eventuali mancanze.
Come se quella persona diventasse l’attore protagonista del tuo film, e tu regista, la osservi in maniera intima e personale, studiando ogni piccola smorfia o sguardo.
Forse la mia mente e il mio cuore sono in continuo conflitto proprio per questo motivo.
La mente elabora i distacchi, li prepara, ti crea un cuscino di ricordi dove poter poggiare il capo.
Il cuore no. Li rifiuta.
Esige presenza continue, linfa vitale quotidiana, sguardi complici.
Non contempla addii, nemmeno momentanei.
Ecco ora il treno sta ripartendo, in corridoio di mani che si muovono a ritmi di affetto e malinconia.
Qui è tutto apposto, il quadrodilontanza dorme con la bocca aperta.
Ciak, si gira.
Musica di Ludovico Einaudi nel mio lettore mp3, dissolvenza.
Ale
(in foto, la mia mamma stupenda che mi farà due cojones giganti per aver messo una sua foto sul blog ma è troppo bella)